Linguaggio, Tradizioni e Società

Perché si dice “mettere alla gogna”?

Basta un post sbagliato, una frase infelice o un comportamento controverso, e in poche ore una persona può essere travolta da un’ondata di disprezzo pubblico. La chiamiamo “linciaggio mediatico”, ma l’espressione più antica e precisa per descrivere questo fenomeno è un’altra: mettere alla gogna. Questa frase non è solo un modo di dire, ma l’eco di una pratica brutale che, pur avendo cambiato strumento, non ha perso la sua funzione sociale e il suo potere distruttivo. Ma cosa significava esattamente e perché oggi è più attuale che mai?

Incisione in bianco e nero di un uomo vestito in stile seicentesco, con testa e mani bloccate in una gogna di legno sollevata su un palo.
Immagine generata con IA

L’Origine: La Gogna come Strumento di Umiliazione Pubblica

Per capire perché si dice “mettere alla gogna”, dobbiamo tornare indietro nel tempo, nelle piazze affollate dell’Europa medievale e rinascimentale. La gogna era uno strumento di punizione tanto semplice quanto terribile. Solitamente era una colonna o un palco di legno dotato di un collare e fori che bloccavano la testa e le mani del condannato. Il suo scopo principale non era infliggere dolore fisico, ma orchestrare un rituale di degradazione sociale. Il condannato veniva esposto per ore, a volte giorni, come oggetto di scherno, bersaglio inerme per insulti, sputi e il lancio di rifiuti. La vergogna diventava un marchio indelebile.

Tuttavia, il successo della gogna dipendeva interamente dal giudizio della folla. Talvolta, il popolo poteva ribaltare la sentenza. È celebre il caso dello scrittore Daniel Defoe, l’autore di Robinson Crusoe, che nel 1703 fu condannato alla gogna per un opuscolo satirico considerato sovversivo. Invece di umiliarlo, la folla lo acclamò, lanciandogli fiori anziché fango e rifiuti. La sua punizione si trasformò in un trionfo, dimostrando che la gogna era un’arma a doppio taglio, potente solo se allineata con il sentimento popolare.

Dalla Piazza alla Bacheca: La Gogna nell’Era Digitale

Oggi le gogne di legno non esistono più, ma il meccanismo è sopravvissuto, adattandosi ai nuovi strumenti di comunicazione. La piazza medievale è stata sostituita dalla bacheca di un social network come X, Facebook o TikTok. Questo fenomeno, oggi spesso discusso sotto l’etichetta di “cancel culture” (cultura della cancellazione), segue un principio identico a quello antico: isolare un individuo, esporlo al giudizio di una folla e punirlo attraverso l’umiliazione di massa.

Un singolo errore può essere amplificato da migliaia di condivisioni e commenti carichi d’odio, distruggendo reputazioni, carriere e il benessere psicologico di una persona in poche ore. La gogna moderna non usa il ferro, ma i pixel e le notifiche, e la sua portata globale la rende, per certi versi, ancora più spietata. A differenza della punizione medievale, che terminava con la liberazione del condannato, la gogna digitale è spesso permanente: una traccia indelebile, ricercabile online per anni, che può perseguitare una persona per tutta la vita.

Immagine divisa: a sinistra un uomo inginocchiato bloccato in una gogna settecentesca, a destra schermata di social media con insulti scritti da profili anonimi.
Immagine generata con IA. Dalla gogna medievale alla gogna digitale.

La Psicologia dietro al Linciaggio (e il Ruolo degli Algoritmi)

Ma cosa ci spinge a partecipare a questo rito? Da un lato, agisce un istinto tribale: punire pubblicamente chi sbaglia serve a rafforzare la coesione del gruppo. Partecipare a questa “caccia” collettiva ci fa sentire potenti e nel giusto. Lo schermo, inoltre, agisce da scudo emotivo, ci fa dimenticare che dall’altra parte c’è una persona reale, che viene così disumanizzata e resa un bersaglio facile per la nostra rabbia.

A questo si aggiunge un fattore cruciale: l’algoritmo come istigatore. Le piattaforme social sono progettate per massimizzare il tempo che passiamo su di esse. Poiché i contenuti che generano emozioni forti come la rabbia e l’indignazione creano più interazioni (like, commenti, condivisioni), gli algoritmi tendono a promuoverli attivamente. In questo modo, la piattaforma stessa diventa un motore della gogna digitale, amplificando la controversia e garantendo che raggiunga il pubblico più vasto possibile, spesso a prescindere dalla nostra volontà individuale.

In sintesi, l’espressione “mettere alla gogna” è la testimonianza di come certi meccanismi sociali siano duri a morire. La tecnologia ha cambiato il mezzo, ma non il fine. Che sia in una piazza affollata o su un feed infinito, l’obiettivo rimane quello di punire attraverso l’esposizione e la vergogna pubblica. Ricordare l’origine brutale di questa frase ci serve da monito: dietro ogni profilo online c’è una persona reale, e le parole, proprio come le pietre, possono ferire in modo profondo e permanente.

Fonti e Approfondimenti

Per comprendere l’origine storica e il significato profondo di questa espressione, le fonti enciclopediche sono essenziali. La pagina di Wikipedia dedicata alla gogna ne descrive dettagliatamente la struttura e l’utilizzo in Europa, chiarendo come fosse uno strumento destinato principalmente a infliggere una pena infamante. Questa fonte è cruciale per capire che l’obiettivo non era tanto la sofferenza fisica, quanto l’esposizione al pubblico disprezzo, un marchio sociale che sopravviveva ben oltre la punizione stessa.

A conferma di ciò, l’enciclopedia Britannica analizza la gogna (pillory), definendola uno strumento il cui scopo era sottoporre il condannato allo “scherno e all’abuso della folla”. Questa fonte sottolinea come il successo della pena dipendesse interamente dalla reazione popolare, un parallelo perfetto con la gogna digitale odierna, dove la viralità e il giudizio della “folla” online determinano la portata e la gravità dell’umiliazione pubblica.

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